Bologna e il rischio appiattimento

Il mio editoriale per il Corriere di Bologna – Corriere della Sera

Uno spettro si aggira per Bologna… il conformismo. Facile, e banale, incipit per segnalare una pericolosa deriva sociale, politica e intellettuale. “La città più progressista” d’Italia, così è stata (auto) definita la nostra città dal candidato del centro-sinistra Matteo Lepore, un po’ troppo enfaticamente. Tuttavia, non avendo egli fornito una definizione di progressismo non possiamo misurare quanto Bologna si approssimi all’idealtipo evocato e dobbiamo perciò credergli sulla parola. È una efficace uscita comunicativa degna della campagna elettorale, ma dovremmo scavare un po’ più a fondo. Certamente sul piano sociale la capitale della via Emilia si distingue in ambito nazionale ed europeo, e anche nella fase pandemica lo ha ribadito. La parte dolente, molto, è connessa al progressismo sedicente in ambito politico. 

Guardiamo alla partecipazione elettorale: in Emilia-Romagna alle elezioni regionali del 2014 votò il 38%, il 40% a Bologna; alle europee del 2019 il 63%, alle politiche del 2018 il 76%, alle comunali recenti il 60%. Un calo copioso e costante rispetto ai fasti passati, e parliamo della forma più “facile” e diffusa di partecipazione politica. Se guardassimo al tasso di iscrizione ai partiti (e spesso i dati disponibili sono per nulla credibili), vedremmo una contrazione significativa nella quantità e nel profilo degli aderenti ai partiti, i quali sono sempre meno attraenti, non solo a Bologna, persino a Bologna, e raschiano il barile di un attivismo quasi autistico, nel senso di automatico, al lumicino. Con poco slancio. Al netto ovviamente delle eccezioni, lo so bene. Le sedi sono sempre di meno e le discussioni speciosamente consacrate al livello organizzativo. I partiti conoscono poco o punto la città, la sua carne viva. Nel caso del PD, il partito(ne) per antonomasia in città, le cose non vanno meglio, anzi il declino è ancora più marcato ché viene da fasti altri. Un indicatore è ad esempio il dibattito alla festa de l’Unità, spesso troppo introspettivo, familiare, introverso, a tratti familista, con qualche acuto, a conferma però del generale tenore rassicurante delle discussioni con paracadute. E il conformismo ha fatto espellere un esponente di FdI dal cartellone, concedendogli un quarto d’ora di celebrità, proprio quando non la meritava essendosi reso artefice di gesti politici poco commendevoli nel recente passato; insomma, solo per paura, per reazione automatica, ma non per piena consapevolezza, come scritto da Olivio Romanini su queste pagine. Parte del problema proviene dalle fila del centro-destra, con una classe dirigente debole, non sfidante, attenta a limitare i danni e mai impegnata a costruire l’alternanza, sempre subalterna agli schemi romano-nazionali come confermano le comparsate occasionali dei leader nazionali in questi giorni. Non sfidando il PD apertamente lo ha indirettamente indotto ad essere rassicurato, altero e altezzoso, avendo costruito poco e male.

Anche la recente vicenda dei candidati primarie è istruttiva: un partito forte, autorevole e sicuro di sé avrebbe pragmaticamente accolto i figlioli, magari con qualche mugugno, ma “perdonando” ove necessario, sanzionando eventuali errori, ma anche guardando alle posizioni espresse senza pregiudizio e soprattutto senza caccia alle streghe. Anche in questo caso una vicenda poco lusinghiera per entrambi i gruppi e certamente espressione di una buona dose di conformismo. Il che apre il capitolo della futura squadra di governo locale, dell’assemblea cittadina e del dibattito. Del rapporto con il potere temporale e temporaneo. 

A pochi giorni dal voto la tensione politica elettorale è eccitante come la politica presidenziale in Finlandia. E non per colpa del Covid. Ma per concomitanti cause, anche congiunturali ovviamente. Mai responsabilità solo individuali, ma anche di singoli, fuori e dentro i partiti. Nella città, nelle associazioni, nei mass media. Lo dicevamo mesi fa, il rischio è l’adulazione del vincitore, il compiacimento, essere condiscendenti, ossequiosi. Ogni critica vista e letta come lesa maestà. Rischio ancora più potente se Lepore e il centro-sinistra vincessero al primo turno e con un margine ampio (maggiore di 5 punti).  I pronostici di vittoria scontata, certa, ovvia, non aiutano. Anziché andarne fiero il PD dovrebbe avere una paura viola dell’inevitabile vittoria, non perché debba metterla in discussione, ma perché si tratterebbe di un successo pregno di problemi. Su cui meglio sarebbe interrogarsi prima che esplodano. Si aggirano troppo fideisti, troppi proni al nuovo corso, troppe adesioni, nessuna voce critica, pochissimi confronti che non siano sulle politiche spicciole. La frangia più perniciosa per il probabile futuro sindaco verrà dalle file amiche, lui che non ha inteso negoziare con i “nemici”. Con gli afecionados troppo interessati dovrebbe usare per coerenza il maglio con la stessa cinica determinazione chirurgica impiegata in modo troppo disinvolto con i “critici”. Il conformismo di queste settimane è raggelante, inedito per Bologna, con un silenzio inquietante e un’auto censura da accapponare la pelle. Un tanfo di adesione acritica che sarebbe meglio ricacciare subito nel dimenticatoio. La vivacità culturale e le critiche al potere – qualunque esso sia – sono vitali, specialmente per Bologna. Come direbbe Giorgio Gaber, il conformista “è uno che di solito sta sempre dalla parte giusta”. Diffidi da costoro, Signor Sindaco.