La difficile presidenza di Leone tra terrorismo e scandali

Il mio editoriale per il Domani parte di una serie di approfondimenti dedicati ai Presidenti della Repubblica

«Fuori Rossi o a morte Sossi!» Lo slogan con cui nel 1974 le Brigate rosse debuttano in società rapendo il procuratore di Genova segna gli anni Settanta, la Storia d’Italia. E inevitabilmente il settennato presidenziale di Giovanni Leone, eletto nel 1971. Il candidato (pre) destinato al Colle era Aldo Moro, in competizione con Amintore Fanfani, ma le trame correntizie gli furono ostili, anche per le simpatie tattiche delle sinistre (la sera prima dello scrutinio definitivo Berlinguer annunciò a Moro il sostegno del PCI), e i voti necessari andarono su Leone. Il quale visse proprio la tra la tenaglia brigatista e neofascista e la necessità istituzionale, in anni di tensione e terrore terrorista. Il procuratore Sossi verrà liberato e l’Italia vivrà il ricatto infame della negoziazione di ostaggi. Tragica pratica di diplomazia della paura che Leone sperimentò direttamente sul finire del mandato con il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro. Per il quale nessuna, vera, efficace trattativa si sostanziò, mentre per Sossi si avviarono dei canali di interlocuzione, osteggiati dal procuratore Coco, per questo ucciso dai brigatisti due anni dopo.

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