Meloni ha due ricorrenze per chiudere i conti con il passato

La storia d’Italia è piena di cicatrici, frutto di ferite aperte da eventi sociali e politici, nazionali e internazionali. Tra i colpi inferti alla giovane democrazia sin dagli inizi della sua storia si distinguono due tragici eventi di cui nelle prossime settimane ricorre l’anniversario.

IL GOLPE BORGHESE

L’8 dicembre del 1970 il “principe” Junio Valerio Borghese, criminale di guerra e comandante della X Mas, flottiglia che dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 aveva proseguito la guerra combattendo al fianco dei nazisti, tentava un colpo di stato.

Era l’acme della strategia golpista condotta nella penisola da frange neofasciste, componenti delle forze armate, della polizia, del mondo imprenditoriale e politico che temeva l’ingresso dei comunisti nell’alveo governativo.

Il 1970 e il tentativo, fallito, di Borghese era il prosieguo naturale delle manovre golpiste, mai del tutto chiarite che si erano dipanate nel 1964 a opera soprattutto del comandante generale dei carabinieri Giovanni de Lorenzo. E che avevano investito, sebbene indirettamente, anche il Quirinale e i rapporti del capo dello stato Antonio Segni con Aldo Moro. Il centro-sinistra e l’avvicinamento dei socialisti e delle sinistre alla Dc non era congeniale agli anti comunisti e agli atlantisti oltranzisti.

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Per rinascere il Pd ha bisogno di un nuovo Lingotto

L’identità definita nel 2007 era chiara. Chi dice che il Pd non avesse un progetto, fosse un amalgama non riuscito, legittimamente non ne condivide gli obiettivi, ma facendolo, implicitamente, ne riconosce la natura che pur critica. Oggi la situazione è drammatica, ma non perduta. Sempre che i democratici vogliano provarci, che sappiano farlo, che approfondiscano seriamente le ragioni del malessere del paese. È il tempo delle idee, dei volti nuovi ma che abbiano anche qualcosa da dire, da scrivere, da fare, e non solo delle rivendicazioni, delle azioni piuttosto.

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Giorgia Meloni è forte, ma non abbastanza per attuare un programma radicale

Il sostegno popolare, dei corpi sociali e degli interessi organizzati a Meloni non è tale da consentire una torsione radicale dell’azione di governo. Il paese è diviso politicamente, socialmente, geograficamente, stanco da molte crisi, e necessita di mediazione, condivisione e negoziato. È arduo condurre in un porto sicuro progetti che riscrivano la collocazione italiana in Europa e nel mondo, che ridisegnino le coordinate sui diritti civili e il governo dell’economia senza tenere conto del contesto sovranazionale.

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La Lego zero che non riesce a liberarsi di Salvini e sogna il modello Bossi

In nessuna provincia d’Italia la Lega è giunta in testa, e di conseguenza in nessuna regione, ma nemmeno in nessun collegio. Zero. Solo in quattro province il partito si piazza al secondo posto, in 28 al terzo e nelle rimanenti è come minimo da quarto fino a settimo. Dal 1992 ad oggi la Lega nord ha occupato in media il primo posto in circa un sesto dei comuni italiani.

Oggi i dissapori con i presidenti di regione, con molti amministratori, e per la prima volta con i militanti, stanno diventando palesi. Salvini è commissariato, non esautorato perché per ora non utile sostituirlo.

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Per vincere le elezioni bisogna cogliere il senso del sistema elettorale

I sistemi elettorali sono implacabili. Le norme, la logica e il funzionamento determinano in quota parte l’esito delle elezioni. Non in forma automatica, diretta e lineare, ma certamente sono un veicolo che accompagna e agevola le dinamiche elettorali.

L’insieme delle regole elettorali agisce come forte strumento avente effetti meccanici e piscologici, come definiti dallo scienziato politico e costituzionalista francese Maurice Duverger. Il sistema elettorale dispiega i suoi esiti su partiti, candidati ed elettori.

La legge elettorale Rosato, pur avendo una quota doppia di seggi allocati attraverso il metodo proporzionale rispetto a quelli maggioritari (2/3 contro 1/3), è strutturalmente legata a una logica sostanzialmente maggioritaria.

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