Meloni-Salvini contro Schlein-Lepore

Per Niccolò Machiavelli i nuovi Principi per crescere devono costruire dei nemici. E la destra leghista/post-fascista ha individuato in Bologna il bersaglio centrale. Il crescendo di critiche – fisiologiche e democratiche – si è nelle ultime settimane trasformato in un sistematico attacco a Palazzo d’Accursio e in particolare al Sindaco Lepore. Il quale è stato oggetto di intemerate da parte degli esponenti locali del duo Lega-FdI, in particolare per le sue posizioni sui diritti civili, ma anche sui diritti sociali nella proposta della città – ancora da costruire in pieno – “più progressista”. Quel progetto rappresenta un Manifesto ostile su tutti i fronti all’agenda del governo di destra-destra che guida il Paese. Per Palazzo Chigi la città felsinea è il principale e più credibile, e perciò pericoloso, avamposto dell’opposizione sociale, culturale e politica al disegno di ridefinizione dei rapporti di forza in Italia. Il principale avversario, ma anche il baluardo da cui il PD e i suoi alleati potrebbero rilanciare la sfida, e perciò nei radar meloniani disturbano la navigazione futura.

La distanza è netta e profonda, con il rischio, e forse per qualcuno è anche una volontà e un auspicio, che si trasformarsi in frattura. Su tutti i temi cruciali Roma e Bologna sono agli antipodi. Sulla Costituzione, sulla memoria, ma soprattutto sulla storia dell’antifascismo, sullo ius soli e quindi sulla definizione di cittadinanza. Le urla contro le lezioni di Lepore di civismo nelle scuole vanno al di là di uno scandalo solo immaginato. Sui migranti dopo la strage di Cutro, Bologna ha per l’ennesima volta mostrato pietas e solidarietà, mentre a Roma il Governo restava di sasso sulle dichiarazioni del Ministro Piantedosi, allineate alla tradizione del predecessore leghista. Sul progetto nazionale, Lepore ha più volte chiaramente indicato la strada per tenere insieme il Paese evitando che il Sud rimanga stritolato dalla riforma di c.d. autonomia differenziata che suona quale secessione dei ricchi, mentre Fratelli d’Italia ha ormai appaltato alla Lega (nord) il tema per ragioni di equilibrio coalizionale. E anche sulle famiglie omogenitoriali il punto di distinzione è chiaro.

La sinistra bolognese che guida però l’opposizione presenta un Pantheon progressista, mentre la destra-destra una lettura ultra-conservatrice e reazionaria, con chiari tratti di nazionalismo identitario. Sul piano sindacale la Presidente del Consiglio condanna l’”estrema destra” parlando dal palco della Cgil, ma non riesce a rimarcare la matrice fascista dell’assalto alla sede del sindacato, mentre Bologna dialoga con i rappresentanti del mondo del lavoro e della cooperazione e difende i patrioti/partigiani. Dalla città a misura di bambino e di pedone che la giunta bolognese sta varando, alla velocità da incrementare sulle autostrade proposta da Salvini. Il quale ricorda ancora amaramente il colpo di schiena civico-politico delle Sardine che lo mandò al tappeto proprio da Bologna e che consentì a Stefano Bonaccini di rimanere guida della giunta regionale. Insomma, un armamentario di differenze che al di là dei singoli punti, marcano il territorio e preparano il confronto futuro. Meloni e Salvini da un lato e Schlein/Lepore dall’altro. Bologna è sempre stato un simbolo politico, bacino elettorale della sinistra e fucina di amministratori locali; luogo di sperimentazioni e di contaminazioni, di elaborazione politica e di progetti elettorali, dalle prime giunte di centro-sinistra fino all’Ulivo, le primarie e Romano Prodi, fino alla prima segreteria donna del PD. E ancora la persistenza di uno zoccolo duro nei collegi uninominali alle politiche scorse. La contrapposizione non fa bene a nessuno se finalizzata a sé stessa, ma il conflitto ideale e politico, viceversa aiuta a decifrare e a chiarire le posizioni, ad elaborare. Il conflitto di idee, quando sano e pacifico, è un motore di cambiamento. Gli attacchi al duo Schlein/Lepore parlano più di quanto non dicano le dichiarazioni zelanti dei singoli esponenti della destra. La neosegretaria e il sindaco sono giovani (meno di ottanta anni in due), con un ricco pedigree politico e amministrativo e hanno idee chiare sul futuro del centro-sinistra. C’è un nuovo paradigma che va al di là delle singole politiche: la destra ha indicato il campo di battaglia futuro, ha marcato il territorio per scavare le trincee del confronto elettorale del domani prossimo. Bologna è insomma nel mirino politico delle forze di coalizione maggioritarie in Parlamento: è un salto di qualità, il riconoscimento di un ruolo guida del campo progressista, individuato in Bologna e nei suoi massimi rappresentanti, ma anche un potenziale rischio di sistematico attacco. L’asse Bologna – Roma è sempre più caldo e nazionale. 

Gnudi e Nicolai: Bologna li ricordi

Il mio editoriale per il Corriere di Bologna-Corriere della Sera

I fatti di Palazzo d’Accursio sono passati alla storia perché prodromo alla presa del potere fascista in Emilia-Romagna e in Italia. Il 21 novembre del 1920 un manipolo di squadristi fascisti attaccò violentemente i cittadini accorsi per salutare l’insediamento della giunta comunale guidata dal socialista (massimalista) Enio Gnudi. Con pretesti, minacce, arroganza e deliberata intenzionalità, i fascisti poterono agire impudentemente con la complicità della polizia, del questore, e delle autorità preposte a garantire il rispetto della legge, che invece mostrarono passività e compiacenza. I fascisti perciò operarono sfacciatamente. Dieci i morti tra i bolognesi giunti a festeggiare la giunta socialista, speranza di molte rivendicazioni popolari e di istanze egualitarie frutto di movimenti popolari, operai, contadini, di scioperi e azione politica tesa a ribaltare un mondo ingiusto, iniquo, sostanzialmente ancorato a logiche “feudatarie”, in cui l’economia e i diritti erano appannaggio di notabili, agrari e borghesi. Nell’attacco vigliacco dei fascisti fu ucciso anche un consigliere comunale liberale, Giulio Giordani. 

Nei giorni precedenti la violenza era nell’aria, evocata, invocata, ma anche schiettamente esercitata. Balordi, camicie nere balorde, fascisti, simpatizzanti, scorrazzavano per le vie cittadine, e d’Italia, in cerca di una scusa per menar le mani, per intimidire, per rendere servigi agli agrari impauriti dal protagonismo politico del popolo, per sedare le rivendicazioni sindacali, per viltà. L’arrivo delle masse sul proscenio politico.

Adelmo Nicolai era stato scelto quale vice-sindaco per la giunta Gnudi; a Bologna si laureò in giurisprudenza, già deputato in carica eletto nel 1919 nel collegio Ferrara-Rovigo, giunse davanti a Giacomo Matteotti per qualche migliaio di preferenze nella stessa lista socialista. Nei pressi del tribunale di Bologna il 18 dicembre Nicolai fu riconosciuto, avvicinato e colpito violentemente: una bastonata in testa gli provocò ferite importanti, e gli ululanti fascisti insieme a diversi studenti non risparmiarono nemmeno il padre. Per “pacificare” gli animi alcuni invocarono un ritorno “al comune di origine” dei socialisti oggetto di violenza; una bella faccia di bronzo dei fascisti spalleggiati da troppi liberali e industriali.   

A Palazzo d’Accursio nel 1999 abbiamo visto ebbre scorribande di emuli del PNF salire sgarbatamente lo scalone principale, imitando i cavalli da cui prende il nome, e imbrattarne la solennità con urla da osteria, movenze e scimmiottamenti delle camicie nere. Intitolare una sala di Palazzo d’Accursio a Gnudi e Nicolai, per il quale non esiste nemmeno una strada, sarebbe un gesto di forte valenza politica, storica e civile. Perché la violenza non trovi mai spazio né a Bologna né altrove.

Quella giunta socialista non si insediò mai. 

Bologna, Italia

Il mio editoriale per il Corriere di Bologna-Corriere della Sera di oggi

Undici morti e quasi sessanta feriti. Il bilancio dell’assalto delle camicie nere fasciste decreta la strage di Palazzo d’Accursio, nel tentativo di bloccare l’insediamento della giunta socialista, visata come pericolo rosso dalla borghesia e dagli agrari. È il 1920, prodromo alla famigerata marcia falangista sulla capitale e Bologna è antesignana del nuovo corso politico. Lo sarà altre volte nella storia politica italiana fino alle recenti vicende. Il tentativo del giovane Anteo Zamboni di eliminare il Duce e il cruciale contributo alla Resistenza e alla Liberazione; le idee di Dossetti, la giunta Dozza e la sua “febbre del fare” che tanto contribuì alla rinascita del dopo guerra.

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Bocca di rosa non abita a Bologna

Il mio editoriale per il Corriere di Bologna-Corriere della Sera

Meretrici, prostitute, donnacce. Le parole contano, pesano. Come pietre. Meglio sarebbe per chiarezza chiamare le donne che vendono il proprio sesso sulle strade della città e del nord-est, con il vero nome: schiave.  Ma come canta il poeta Guccini “di certe cose non si è mai parlato”. Perché in fondo Bologna oltre che la sedicente “più progressista” è anche molto ipocrita, provinciale, e spesso mette la testa sotto la sabbia. Altrimenti non si spiegherebbe il silenzio della politica, l’afonia del femminismo reattivo a ogni violazione delle desinenze sulla carta intestata e nei protocolli. La sostanza parla chiaro. Migliaia di giovani donne rapite, frutto della tratta sulla rotta balcanica e su quella africana, oggetto di violenze, ricatti e prigionia. Gettate in mezzo alla strada a soddisfare i pruriti borghesi dei maschi metropolitani e del proletariato in cerca d’evasione da sé stesso. 

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