Bologna non è Cremona. Ma nemmeno una continua guerriglia urbana

Il mio editoriale di oggi per il Corriere di Bologna-Corriere della Sera

A fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro… che ti epura.” Pietro Nenni, socialista, non proprio dal temperamento molle, sintetizzò egregiamente e solennemente il rischio del massimalismo, dell’ortodossia rispetto al pragmatismo idealista dei riformisti. Tacciati appunto di tradimento rispetto al verbo del proprio campo di riferimento, la sinistra. Una storia antica, che rimanda agli inizi del secolo scorso e che ancora si trascina e riemerge carsicamente. Salvo che a lanciare anatemi non sono gruppi espressione di forze alternative a quella dominante, ma componenti che un tempo sarebbero state indicate come settarie. Nel caso di Bologna questa tensione ha una lunga, e oserei dire nobile, tradizione consumatasi tra le mura domestiche, ma con ripercussioni anche nazionali. 

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Il ruolo chiave che hanno i partiti

Il mio editoriale di oggi per il Corriere di Bologna-Corriere della Sera

La democrazia è fatta di partiti politici. Senza, semplicemente la democrazia non esisterebbe. Poiché rimanderebbe ad una società monista, e pertanto autoritaria. Le organizzazioni politiche garantiscono pluralità, differenziazione di interessi e partecipazione politica. Non è un caso se la Costituzione italiana serba loro un ruolo chiave quali associazioni che garantiscono ai cittadini di organizzarsi liberamente per “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (art. 49).

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Dei diritti e dei doveri

Il mio editoriale per il Corriere di Bologna-Corriere della Sera

Anche nella città sedicente “più progressista d’Italia” (perché non d’Europa?) proliferano le istanze rivendicative di diritti, prevalentemente individuali. Giustamente. Ma ormai siamo al profluvio, quasi catartico, di richieste che talvolta travalicano il confine del “legittimo interesse” per strabordare nella sfera della pretesa. Con il rischio di confliggere con altrui, altrettanto legittimi, interessi e diritti e perfino con l’interesse collettivo, al netto della parzialità sempre mutabile di quest’ultimo. L’egocentrismo, l’individualismo assunto a ideologia ha raggiunto tratti parossistici, non solo in Italia. Il punto è che le istanze, i reclami, i proclami, le richieste e le rivendicazioni sono soltanto una componente della sfera civile. Del resto, non è strano e nemmeno fortuito, se la Carta costituzionale, nella prima parte, subito dopo i principi fondamentali riservi alla sfera dei diritti e doveri dei cittadini quattro “sezioni” che regolano e normano i rapporti civili, sociali, economici e politici. La Costituzione limita, ad esempio, la mobilità “per motivi di sanità o di sicurezza”, e mai, si badi, per motivi politici. Intima ai genitori di istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Regolamenta lo sciopero, e prescrive che l’attività economica privata non possa svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Anche l’esercizio del voto è rappresentato quale dovere civico, fino alla difesa della Patria quale sacro dovere del cittadino. Trattandosi di un consesso sociale, la Carta, molto progressista effettivamente, impone che tutti debbano concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Come avrebbe detto Jürgen Habermas il welfare state come una sorta di solidarietà coatta. L’apogeo della chiamata al dovere pubblico si ha in riferimento, ovviamente, alla fedeltà alla Repubblica nonché alla Costituzione e alle leggi. Ma, un richiamo davvero repubblicano, lo si ritrova in riferimento a quanti ricoprano funzioni pubbliche che hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore.

Tuttavia, a fronte di tali indicazioni, il dibattito politico, sociale e finanche quello intellettuale- sempre più conformista e pavido – è saldamente abbarbicato nella difesa aprioristica di qualsivoglia gemito identitario, per paura di apparire conservatore. E perciò risultando fuori fase. Trascura completamente la seconda componente di quella importante sezione, i doveri. Il rispetto delle regole, delle norme sociali- scritte e consuetudinarie- è relegato in secondo piano, è fuori dall’agenda. Non è mai entrato in partita nemmeno nella recente campagna elettorale, a tratti sciapa e monocorde. Sebbene una cospicua fetta del pensiero politico, filosofico, etico, e religioso, si innervino attorno all’intersezione tra diritti e doveri. Sull’asse del rispetto del bene pubblico, degli individui, senza che però questo sfoci nella prevaricazione di un diritto singuli

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Candidati sindaci e partiti. A Bologna lo schema è ancora paritario

Il mio editoriale di oggi per il Corriere di Bologna-Corriere della Sera

Insieme all’ovvio e scontato interesse e interrogativo su chi avrebbe vinto, se al primo turno ovvero al ballottaggio, e su quanti elettori si sarebbero recati al seggio, la domanda sul ruolo del candidato alla carica di primo cittadino è stata e rimane centrale, focale. Alle elezioni amministrative la figura del potenziale sindaco ha assunto un ruolo preminente sul versante istituzionale, nella fase di campagna elettorale e successivamente nella guida della giunta locale. Per una serie di concomitanti ragioni, dunque, il primo cittadino si pone all’intersezione di una serie di interessi, figure politiche e amministrative. La vulgata la definisce “personalizzazione”, ma si tratta di un fenomeno politico articolato e a tratti difficile da indagare. Qual è il peso specifico del candidato sindaco? Quanto conta e incide sul complesso della sua lista e della sua coalizione? Il Sindaco quale primus super pares che guida l’azione politica, nomina e se del caso dimette gli assessori, risponde in prima persona dell’andamento amministrativo e rappresenta simbolicamente oltre che formalmente la città.  

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