La leadership conta, ma non basta

mio pezzo per Huffington Post

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La leadership conta. E racconta molto di sé e della propria comunità, del partito politico, del Paese che si guida. Lo dice la Storia, la letteratura scientifica e la cronaca contemporanea. La leadership non è perniciosa o salvifica ontologicamente, dipende dai contesti e dalle persone che la incarnano, ma ha un peso importante. In maniera dicotomica c’è chi considera la leadership segno dei regimi autoritari e chi invece la invoca: nelle società contemporanee i sistemi politici, essendo questi complessi, per fronteggiare le crescenti esigenze democratiche necessitano di scelte “rapide”, chiare e univoche, hanno bisogno della leadership. Per capirne l’importanza è necessario fare riferimento ai processi decisionali in cui le dinamiche di “maggioranza” sono influenzate da molteplici fattori. Le doti individuali, la simpatia persino, le capacità oratorie, il fiuto politico, la persuasione. Tutte abilità monche se non accompagnate dalle conoscenze linguistiche: se non sai comunicare (e non è una questione di social media-manager), sia esso in italiano, ma soprattutto in lingue “altre”.

In questa fase politica, assediati da una montante opposizione sociale e politica, e dalla realtà della triste condizione del Paese, i principali esponenti del vecchio e del nuovo Governo, con l’ex ministro Matteo Salvini in testa, richiamano la volontà di essere lasciati “lavorare” senza disturbare il manovratore, ovvero di “pieni poteri”. È una retorica insulsa e retrograda, consumatasi con le società primordiali che rimanda alle ambizioni autoritarie e semplificatrici. Va però segnalato che non esiste l’uomo solo al comando e nemmeno il “potere assoluto”, un ossimoro, una semplificazione, un errore teorico e concettuale ripetuto e perpetrato a stuoli di infanti sin dalle scuole primarie quando si parla di Monarchia o dittature. Il potere, come sapevano molto bene i Padri costituenti degli Stati Uniti d’America,  Ad essere solo è il potere, quando esercitato da quell’uomo. Da lì non si scappa. Si è da soli, un po’ come quando si affronta l’inevitabile destino umano, a confrontarsi con altri poteri, nei momenti topici, nelle scelte cruciali e definitive. Un fulgido esempio della solitudine del potere lo troviamo nei consessi internazionali. Durante le riunioni del G7/G8 ad esempio, ciascun “uomo al comando” è solo con se stesso. Non ci sono consiglieri, non sono ammessi traduttori, né sherpa, né tutor, nessun pseudo-influencer da social assorto a neo-Mazarin e Mandarino moderno. È proprio in quelle sedi che la partita assume dinamiche dove conta la leadership nella sua pienezza. Il peso, l’influenza di ciascuna “solitudine” contano per il lavoro, per il cárisma, per il prestigio, le competenze pregresse, ossia per quanto detto e fatto fuori dalla stanza isolata, ma hanno grande rilievo anche le azioni, le idee, le parole, i gesti nel confronto con gli altri “grandi”.

Una miscela articolata, complessa, quasi magica che può determinare un esito positivo o una sonora débâcle diplomatica. Conta quante lingue conosci, quanto abituato sei al confronto con mondi “altri”, quanto sei “uomo di mondo”, quanto hai studiato, che competenze hai. Da lì dipenderà anche la capacità, finita la riunione di rimanere in “contatto diretto”, e farne derivare relazioni politiche, rapporti internazionali, sostegno diplomatico. Ciascuno immagini, senza troppo ardire, i possibili scenari futuri con i pretendenti italiani alla “solitudine del potere”, e li confronti con quelle di Macron, Merkel, Putin, Trump, Obama, Trudeau, Mitterrand, JFK…, una prospettiva desolata, e sola. La leadership è dunque, inevitabilmente, importanza degli uomini e delle donne che la rivestono poiché senza sarebbe un mero assemblearismo informe. È altresì “sintesi”, capacità di fare sintesi dei diversi punti presenti in una organizzazione, riducendo, ma non azzerando le differenze e facendole vivere insieme. E pluribus unum, direbbero a Washington. La cosiddetta personalizzazione, fenomeno tra l’altro per nulla recente, non è pernicioso o un pericolo per la democrazia. La quale ha bisogno di un processo decisionale efficace, rapido e flessibile. Tuttavia, se la politica si riduce a individui, ne risente l’intero sistema.

Dunque, per contrastare il potere, correggerlo, mitigarlo e migliorarlo, è necessaria la partecipazione politica dei molti, delle organizzazioni, dei partiti. Non di solitudini.

The Italian Constitutional Referendum

The Italian Constitutional Referendum: Political and Institutional Consequences of a Striking “NO”

my article on Fruits&Votes blog
The electoral results of the constitutional referendum have led to the Prime Minister’s resignation. But let us consider what happened before.

48_referendumOn December 4th 2016, Italian voters expressed their vote on a referendum about constitutional reforms. This was the third referendum of its kind in Italy, with the other two held in 2001 and 2006. The two options presented to voters this time were related to the approval or rejection of the reform promoted by Matteo Renzi’s government and his centre-left parliamentary majority. However, several Democratic Party’s MPs decided not to support Renzi’s position, and used the ballot as a tool to oppose their leader due to different visions of the party, the government, policies, and the reform itself. The reform was approved earlier by an absolute majority in both houses of parliament, but the proposed changes required a two-thirds majority in parliament in order to be implemented without a referendum according to the Italian Constitution (art. 138.3). Since this threshold was not met in parliament, the referendum was called (by the Government) by collecting the required number of voter signatures, as stated by the art. 138.2, while the opponents to the reform were not able in getting the minimum number of required signatures (500.000).

The result of the referendum was both clear and decisive. Approximately 60% of voters cast a “NO” vote in opposition to the proposed reforms and only 40% voted in favor. Perhaps the most striking result was voter turnout. Nearly 70% of eligible voters cast a vote, a percentage that is similar to that reached in general elections in Italy (e.g., 75% in 2013). This figure also confirms that Italy remains a democracy with one of the highest electoral participation rates in the world. Despite this high turnout figure, one of the most notable features of the referendum is the persistent North-South divide in terms of turnout and the level of rejection of the reform. Rejection of the referendum was particularly high in southern regions, with peaks in Sicily, Sardinia, and Campania. Support for the referendum was limited and prevailed in only two regions (i.e., Tuscany and Emilia-Romagna), as well as in the province of Bolzano. Leggi tutto “The Italian Constitutional Referendum”

Centre-left Prime Ministerial Primaries in Italy: the laboratory of the ‘open party’ model

CIP

The 2005 Prime Ministerial Primaries held by the coalition of the centre left were less important for their immediate outcome than they were important as crucial events for the institutionalization of primaries in the process of building the Democratic Party. Those held in 2012 were a second step in the same process. Since the two elections differed significantly and were both ‘exceptional’, we first propose a rational narrative of the political strategies leading up to each of them and of the political dynamics that followed. We also analyse indicators of the level of public interest in such a competition and the candidates’ abilities to mobilize support beyond the party’s traditional electoral constituency. Our central argument is that, since the centre-left Prime Ministerial Primaries achieved the strategic goals of some of their proponents, this particular type of primary should be less frequent in the future, at least on the left of the political spectrum. Even though they did so in very different ways, they both strengthened the project of creating the Democratic Party as an ‘open party’, whose leader is chosen by a broad base of electors in a primary-like competition and is the party’s natural candidate for the premiership (view the full paper).