La Lega resta Lega Nord

Editoriale per il Riformista

Per capire cosa rimanga della Lega nord dopo il Consiglio Europeo che ha allocato 750 miliardi per il Recovery found attribuendone 209 all’Italia bisogna partire da lontano, e non da Bruxelles. La Lega presenta il suo gioco, lo schema seguito per anni, sin dagli albori. Gli zoologi sanno che molti animali pur facendo percorsi lunghi, ed esplorando il terreno circostante, inevitabilmente, tornano alla propria tana. Sempre. Da cui non vogliono, non possono e non sanno allontanarsi. Questa dinamica è esattamente quanto successo alla Lega (Nord) e al suo capo, il senatore Matteo Salvini. Una volta liberatosi del fardello ideologico del partito fondato e guidato dal leader carismatico Umberto Bossi, Salvini ha pensato di potere condurre verso nuove lande la Lega e i suoi seguaci. Il tentativo audace di espandersi si è pero’ schiantato contro la realtà fattuale, ché per costruire un partito nazionale non bastano escursioni culinarie o comizi in riva al mare. Certo, per diversi disattenti osservatori, e politici pragmatici da palati poco fini, è apparso a un certo punto che fossimo di fronte alla Lega nazionale. Taluni con sprezzo del pericolo e dell’onta arrivarono a definire la Lega Nord quale novella Democrazia Cristiana, ossia il fu partito complesso, complicato, articolato, contradditorio, controverso, ma che ha contribuito fortemente al consolidamento democratico del Paese. Il contrario della Lega, partito di estrema destra, xenofobo e basato sulla difesa di un solo territorio, il Nord, e di una sola categoria, gli imprenditori. Da quel territorio la Lega non è mai uscita, ha fatto delle escursioni, delle esplorazioni, dei tentativi, ma è sempre tornata alla tana. Salvini ha provato a stabilire delle casematte, degli avamposti in territori ostili, e cavalcando spregiudicatamente il razzismo contro i neri, gli immigrati, e ogni diverso, ha tentato di scatenare una guerra sociale aizzando gli animi del popolo minuto per celare l’assenza di propotse politiche valide per superare le diseguaglianze.

La parabola discendente della Lega e del sen. Matteo Salvini è altresì evidente considerando le vicende politiche dell’ultimo anno trascorso. L’ebbrezza del 34% raccolto alle elezioni europee del 2019 ha indotto il capo della Lega Nord ad immaginare una possibile scalata al Governo, senza aver fatto i conti con la sua superficiale conoscenza delle dinamiche parlamentari e appena sufficiente di quelle di potere. Il territorio era per lui e i suoi peones culturalmente nuovo, estraneo, sebbene la Lega lo abbia frequentato per trent’anni e avendo governato per 10 degli ultimi 25 anni. Salvini non ha solcato i Palazzi ministeriali e ha snobbato quelli parlamentari non perchè vagabondo o cialtrone, come pure comodo dire per il Partito democratico, per disinteresse o mancanza di rispetto, ma semplicemente perchè quei luoghi sono altro rispetto a quanto lui consono. Non avendo competenze specialistiche, ed essendo un politico generalista, era ovviamente meglio attrezzato per le riunioni con i propri elettori e soprattutto militanti, i quali per definizione, in qualsiasi partito non esigono prove empiriche rispetto alle proposizioni presentate. Inoltre, nel caso della Lega la forte personalizzazione ha censurato qualsiasi discussione e definitivamente azzoppato un partito che negli anni aveva coinvolto in discussioni migliaia di persone su temi controversi, ma rilevanti (dal federalismo al ruolo dello Stato e al mercato). Che il disagio per i luoghi “nuovi” fosse persino una afflizione fisica era evidente in Salvini, che pero’ ha accettato, sempre a favore di telecamera e senza contraddittorio, di recarsi nel tanto disprezzato Sud, di dialogare con i lavoratori statali da sempre scherniti dalla Lega, e finanche di indossare giacca/cravatta e occhiali dozzinali su consiglio di spin di provincia. Era come mettere la pelle di un orso sopra un cavallo, si notava che stonasse.

Nessuna novità, dunque, sotto il sole pallido di Bruxells. Salvini sta giocando la sua legittima partita, e davvero non si capisce perchè dovrebbe cambiare. La Lega è stata storicamente ostile all’Unione europea, tranne per una breve fase prima dell’Euro in cui cianciava di Europa delle regioni. Ma soprattutto la Lega è anti/italiana. E su questo punto Giorgia Meloni ha infatti abbandonato l’amico e competitore perchè non riconoscere l’interesse nazionale sarebbe stato troppo per Fratelli d’Italia. Il Recovery found è una policy importante, presenta vantaggi e quache rischio calcolato, ma è nel complesso un’ottima notizia per il Paese. Per Salvini, come egli stesso ha recitato, la scelta del Consiglio europeo rappresenta una sciagura, proprio perchè indebolisce il suo afflato, o meglio la sua presa nazionalista. In realtà, la saggia decisione dei leader europei, lo renderà ancora piu aggressivo sul piano politico nei prossimi mesi, ma sarà inevitabilmente risucchiato nella spirale del nazionalismo territoriale, del Nord prima, del territorio produttivo che soffre per mano della strega cattiva prusso/francese. E’ inesorabile, Salvini non ha mai lasciato il Papete, non puo’ farlo, perchè è la sua cifra, l’ambiente in cui nuota meglio. Fosse stato alla negoziazione sarebbe stato in grave imbarazzo non avendo i talenti per condurre una negoziazione che richiede savoir faire, conoscenza delle lingue, proposte, visione, competenze tecniche e abilità negoziali, reputazione e credibilità.

Il resto è folcklore, gioco delle parti, come le comparsate del leader nazionalista Geert Wilders, il cui atteggiamento pero’ rappresenta un vero pericolo che mette a repentaglio la tenuta del tessuto sociale, culturale e politico dell’Unione Europea.

Infine, va ricordata la recente rappresaglia di Salvini nei confronti della sinistra partendo da temi di destra. Dall’immigrazione, alla solidarietà, al lavoro la Lega sta tendando di mettere in difficoltà i progressisti italiani giocando la carta del tradimento dei valori. In questa chiave va letta la provocazione su Enrico Berlinguer. Senza scomodare le persistenti suggestioni circa la Lega come partito portatore di istanze progressiste, la mossa di Salvini è un agguato valoriale al mondo di sinistra. Ma la vera partita è tra internazionalismo e sovranismo, sebbene qualche allocco pensi che la Lega lavori per i derelitti.

Puo’ darsi che finalmente il PD capisca che con la Lega non c’è proprio nulla da dialogare sui fondamentali, e che pertanto dovrebbero essere lontani. Sulla questione settentrionale, ad esempio, farebbero bene anche ad essere piu cauti alcuni dirigenti democratici. Il Sud non è la zavorra del Paese, che si salva solo unito. Per cui, meglio tornare a miti consigli sull’autonomia differenziata, sul Nord sofferente e il Sud inguaribile cialtrone. A meno che una parte del PD non consideri in cuor suo la Lega un modello da imitare, in qualche misura. Ma ricordino che la Lega non si è mai allontanata dalla tana, ha fatto solo una lunga passeggiata, ma tornerà, presto o tardi, guidata da Salvini o altri, nel quadrilatero tra Lodi, Treviso, Varese e Cuneo. È legge di natura.